Il teatro è gremito di persone, ma in quel momento, quando il sipario si apre, le luci si spengono e parte la musica, voglio solo chiudere gli occhi e sentire.
La scenografia è spoglia e quindi non mi perdo elementi essenziali alla comprensione.
Quattro attrici che magistralmente hanno interpretato storie di donne colpevoli di essere donne.
E’ la volta di una donna semplice, poi della donna manager ed ancora di una donna dell’Italia meridionale e dell’Iran.
Le loro vite sono quelle di tante altre donne, non hanno nulla di speciale, hanno solo un epilogo tremendo.
Una morte che, però, porta alla salvezza ed alla liberazione da quella dannazione.
Una costante nelle storie di vita di queste donne è il cercare una scusa ed una colpa in loro stesse, l’essere stata “troppo brava”, non “essersi accorta di”, il “tradimento” od un “amore proibito”.
Una frase riecheggia nel teatro: «me lo sono meritata!»
Meritare di morire? Chi è il giudice che è autorizzato a condannare una donna a morire per mano del proprio compagno, definito anche “padrone”?
Qual è il confine che, a questo punto, la donna non può superare, ma l’uomo sì?
Quando si parla di violenza è bene non soffermarsi mai solo ed esclusivamente sulla violenza fisica, ma anche quella psicologica e verbale. Tutte queste tipologie di violenza inficiano il rapporto di coppia e di certo non fanno parte di quel sentimento chiamato “amore”.
Un uomo non può arrogarsi il diritto di commettere un qualsiasi atto di violenza in quanto uomo; così anche la donna. Un atto di violenza, sotto qualsiasi forma, deve essere condannato, fosse anche lo schiaffo tirato da una donna durante un litigio e, come atto non va giustificato. Va contestualizzato, analizzato e compreso, mai ripetuto.
E’ necessario usare una misura unica per condannare la violenza. Non fare distinzione di genere, non aiuta ad arrivare alla risoluzione del problema.
Le donne di “Ferite a morte” hanno subito, hanno pianto, sofferto ed hanno cercato di ribellarsi,ma questo non è servito, perché in questi casi, sì, che l’essere donna ha giocato a sfavore. E la ribellione, prima della fine, si è trasformata in passività portando la donna ad essere una cosa. Un oggetto inanimato, senz’anima, che non può neanche più morire, perché ha perso la sua cosa più preziosa.
Un’ora e mezza di strazio e commozione sebbene ci fosse spazio anche per la risata pacata (e sensata), ma una frase resta nel cuore: «segui la vita come una spiga al vento!». Mai venire meno a se stessi, mai rinunciare a quello che siamo.
Mai giustificare un atto di violenza e denunciare.
Denunciare sempre, avere il coraggio di uscire da una situazione che – secondo i dati e le esperienze – porta ad un finale infausto.
Ci sono servizi e leggi apposta per poter provare ad uscire da una spirale involutiva, chiedere aiuto e non nascondere il livido dietro gli occhiali da sole, perché, distrattamente «sono caduta!».
L’elenco di femminicidi commessi nell’ultimo anno (128 a novembre 2013- Fonte: Repubblica.it) è davvero troppo lungo, donne di tutte le età uccise per i motivi più disparati e, talvolta, il colpevole è ancora a piede libero.
Quanto siamo disposti ad accettare ancora?
Chiara Biraghi
Sito web dello spettacolo: http://www.feriteamorte.it/