Chi sono gli Hikikomori?

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Il termine Hikikomori significa letteralmente “isolarsi”, “stare in disparte” e fa riferimento ad adolescenti e giovani adulti che decidono di non aver alcun contatto diretto con l’esterno rinchiudendosi nella propria stanza per lunghi periodi, addirittura anni.

Questo fenomeno è caratteristico del Giappone ma sembra svilupparsi anche in altre società occidentali, inclusa l’Italia.

In Giappone del problema non si parla molto perchè imbarazza, perchè sconvolge l’immagine di un paese che vuole apparire combattivo.
Di chi pratica
hikikomori si pensa che sia un debole che vive alle spalle della famiglia e della società; in realtà potrebbe essere una forma di contestazione nei confronti di una società frenetica, quale è il Giappone, che non dà la possibilità di sbagliare, che alimenta d’altro canto un senso di inadeguatezza rispetto a ciò che essa stessa richiede.
Hikikomori non è riconosciuto come una patologia dal Ministero della Sanità, del Lavoro e del Welfare del Giappone, ma può seriamente portare ad ammalarsi a causa dell’isolamento prolungato.
La famiglia spesso “protegge” questa chiusura perchè se ne vergogna e chiede aiuto solamente in casi estremi.
In alcune ricerche è stato riportato che l’88% dei casi di
hikikomori madre e figlio hanno un rapporto di dipendenza, un rapporto simbiotico, che può portare ad un atteggiamento ambivalente da parte di chi lo pratica: da una parte si gode delle eccessive attenzioni, dall’altra il sentimento di oppressione convoglia in aggressività nei confronti della madre (unica figura familiare che storicamente si prende cura della casa e dei figli a causa dell’assenza del marito-padre che dedica la propria vita al lavoro).

L’antropologa e ricercatrice Carla Ricci ha pubblicato alcuni libri sull’argomento, l’ultimo (2014) è intitolato “La volontaria reclusione. Italia e Giappone, un legame inquietante”.
Secondo lei “
Hikikomori rappresenta uno dei tanti esiti imprevisti delle società contemporanee più ‘ricche’. La società è sempre più complessa, più competitiva, più arrogante ed anche più tecnologica ma senza la preparazione psicologica dei suoi soggetti ad esserlo. I giovani sono eccessivamente protetti dalla famiglia, più narcisisti, meno inclini ai sacrifici e meno sensibili a diventare indipendenti, tutti elementi che possono favorire la resa finale, cioè hikikomori” , ed è un fenomeno destinato ad aumentare nel nostro Paese proprio per la comunanza di questi tratti tra Italia e Giappone.

In Italia hikikomori è associato alla dipendenza da internet, l’antropologa ritiene che essa “porti con sé il bisogno inconsapevole di qualcosa che non si sa cosa sia ma che manca”.

Carla Ricci non ritiene, purtroppo, che esista alcun intervento sociale risolutivo. Attribuisce alla famiglia un ruolo fondamentale e dichiara: “Il fardello penoso che rappresenta per la famiglia la realtà del figlio recluso e la scelta non scelta di diventare hikikomori del giovane potrebbero creare una opportunità di fruttuosa, creativa e trasformativa esperienza individuale ma anche comune, capace forse di scoprire sensi e significati là dove ora non ci sono”.

Consiglio la visione di un corto animato del regista Jonathan Harris il quale rende bene l’idea di chi è un hikikomori: https://www.youtube.com/watch?v=50Y7R5zP0wc

Roberta Fina

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