Articolo di lunghezza e tema libero di interesse sociale. Questa la richiesta fattami dal gruppo In- formazione. Sono rimasta un po’ spiazzata e non sapevo di cosa avrei potuto parlare. Non per la mancanza di temi a riguardo, ma piuttosto per la vastità di scelta!
Poi mi si è accesa una lampadina: io vivo in una comunità di famiglie, o meglio in un “condominio solidale” e non sono in molti a conoscere questa realtà.
Credo di potermi definire “comunitaria di seconda generazione”, nel senso che la mia non è una scelta di vita personale, ma piuttosto una conseguenza delle scelte dei miei genitori, spero però di riuscire a descrivere e far comprendere cosa sono le comunità di famiglie.
Diverse dalle comunità a cui siamo abituati noi studenti e assistenti sociali, in genere di tipo terapeutico o di tipo professionale, direi che le comunità di famiglie sono dei veri e propri gruppi di auto mutuo aiuto.
Attualmente le comunità di famiglia sono una ventina, ma altre si stanno preparando a partire. L’associazione Mondo Comunità e Famiglie (MCF) le chiama comunità di comunità, nel senso che la comunità considerata oggetto primario dell’associazione è la famiglia che, riconoscendo di non bastare a se stessa, decide, per realizzarsi a pieno, di vivere accanto ad altri in modo solidale.
Attenzione: non si tratta di vivere tutti insieme felici e contenti. La comunità di famiglia vorrebbe fondarsi sul vicinato solidale, sulla fiducia reciproca. Ogni famiglia ha il suo appartamento e possiede una sua sovranità inalienabile. Ognuno è totalmente responsabile di sé e delle proprie scelte.
Generalmente le Comunità si insediano in spazi abbastanza ampi da poter ospitare non solo le famiglie stesse che decidono di seguire un certo stile di vita, ma anche per poter accogliere persone in difficoltà. Le famiglie, le persone che costituiscono le comunità di famiglia ricercano uno stile di vita sobrio, essenziale nei consumi ma anche nelle idee, cercano di investire sulle relazioni con le persone nel rispetto dell’ambiente.
Non esistono regole ferree, ma in genere le comunità decidono di usare uno strumento chiamato “cassa comune” e l’assegno in bianco. I proventi da lavoro di ognuno si mettono insieme e al primo del mese a ogni famiglia o persona che compone la comunità viene affidato un assegno da compilare secondo le necessità mensili e quello che non si utilizza potrà servire alle altre famiglie della comunità.
Le comunità familiari hanno una carta di vita, nominano un presidente con funzioni organizzative che si confronta con gli altri presidenti delle altre comunità. Sono associazioni di mutuo aiuto e sono in rete tra loro.
Le Comunità Familiari hanno una loro carta di vita, si accompagnano con le altre in un Capitolo, nominano un presidente con funzioni organizzative che si confronta con gli altri presidenti. Sono associazioni di mutuo aiuto, sono in rete tra loro.
Inoltre le comunità si prefiggono lo scopo di essere utili non solo a se stesse, ma anche agli altri. Spesso si fanno accoglienze di persone in difficoltà. E non parlo solo di utenti del servizio sociale, parlo anche di persone che sentono l’esigenza di interrogarsi in modo differente per capire quale sia la loro strada.
Le accoglienze vengono attuate a seconda della disponibilità di ogni famiglia.
La scelta dei miei genitori di accogliere adulti e prendere in affido minori in difficoltà ha fortemente influenzato il mio percorso personale e formativo. Mi sento di “confessare” che a volte, la maggior parte delle volte, ho trovato difficile accogliere e accettare in casa una persona estranea che ha la sue esigenze particolari. Tuttavia mi ha permesso di vedere l’affido e l’accoglienza in una prospettiva diversa da quella che studio sui libri, non la prospettiva dell’affidante, ma quella dell’affidatario. Una prospettiva che trovo essere estremamente utile per tutti gli operatori sociali e che talvolta viene un po’ trascurata.
Tornando alle comunità di famiglia la parola chiave è CONDIVISIONE.
Se mi fermassi qui, in base a quello detto in precedenza, sembrerebbe una cosa prettamente economica, ci si mette insieme perché si fa meno fatica a far fronte a esigenze economiche.
In realtà vivere in comunità significa, secondo me, mettersi in gioco e aiutarsi, più che dal punto di vista materiale , da quello personale e relazionale.
Condivisione di esperienze, vissuti, sentimenti . Condivisione utile. Condivisione che in alcune occasioni è profonda e toccante, che permette di conoscere meglio se stessi e gli altri. Condivisione a volte sofferta e difficile.
Io non partecipo alla condivisione della comunità in cui vivo perché, come detto, sono “comunitaria di seconda generazione”, ma ho occhi, orecchie e genitori che condividono parecchio con me.
Personalmente credo che la vita comunitaria sia “bipolare”, se mi si concede il termine. Da una parte è bello e meraviglioso: si può contare sul vicino in un modo particolare che va oltre al buon vicinato. Il vicino più che vicino è amico e compagno, confidente, sostenitore, aiutante. Dall’altra parte a volte è difficile. Il vicino confidente può diventare invadente; la ricerca personale stimolata dal confronto con gli altri può far uscire parti di sé ancora sconosciute; le aspettative possono essere deluse; la convivenza e il confronto possono diventare faticosi.
La comunità aiuta e allo stesso tempo ti chiede di fare sforzi a volte anche grandi. In ogni caso penso che la comunità sia una risorsa importante che può fare la differenza certamente per i comunitari, ma anche per le istituzioni e i cittadini.
Bianca Ravasi
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