Mi è capitato qualche tempo fa di imbattermi in uno splendido cortometraggio del regista J. Weigel, i 20 minuti meglio spesi della mia vita.
Sto parlando de “Il Circo della Farfalla” che racconta la storia di Will interpretato da Nick Vujicic, l’uomo senza arti nella finizione filmica così come nella vita reale.
Nick Vujicic nasce a Melbourne, Australia, con una rara malattia genetica, la Tetramelia, che lo costringe ad una vita priva di arti, di entrambe le braccia ed entrambe le gambe ad esclusione di due piccoli piedi.
A causa del suo handicap inizialmente Nick non può frequentare la scuola tradizionale (così come prevede la legge australiana), ma la legge cambia e Nick è uno dei primi disabili a frequentare la scuola normale.
A otto anni, schiacciato dalla depressione data dalla sua condizione, decide di suicidarsi annegando in una vasca da bagno.
Sopravvissuto al tentativo inizia a pensare al senso della sua condizione e a “sfruttarla”.
Impara a scrivere, a muoversi e a vivere una vita normale utilizzando principalmente i piedi, a 17 anni fonda la associazione non-profit “Life Without Limbs”, si laurea in economia e scrive il libro “Senza braccia, senza gambe, senza preoccupazioni”.
Nel film interpreta Will, “una perversione della natura, un uomo – se cosi si può dire- a cui Dio stesso ha voltato le spalle””, in mostra tra i fenomeni da baraccone nel padiglione delle mostruosità umane ed esposto alla perfidia degli spettatori, ai pregiudizi e alla crudeltà del pettegolezzo.
E’ proprio in questo momento, in cui la sua dignità di persona si annichilisce pian piano e in cui, giorno per giorno, si convince di essere un non-uomo, un progetto non riuscito, che incontra Méndez, proprietario del Circo della Farfalla, che vede Will con occhi diversi e che gli insegna che “Ciò di cui ha bisogno questo mondo è un po’ di stupore”.
Méndez dirige un altro tipo di spettacolo, porta in pista contorsionisti, giocolieri, acrobati e artisti pieni di forza, colore ed eleganza.
Un circo che è opera di riscatto dalla povertà e dalla perdita della capacità di dare un senso alla propria vita e alla propria condizione fisica, morale e sociale fino a trovare la risorsa più pura : se stessi.
Méndez, con metodi perfino bruschi nei confronti di Will e dei suoi artisti, cerca di abbattere non le barriere architettoniche (ossessione del nostro tempo), ma quelle psicologiche e naturali che separano non tanto dal mondo, ma da sé stessi e dalle loro reali capacità.
A contatto con loro Will rinasce, sfidato da una frase che gli rivolge Méndez che svela la legge più profonda della vita: “Se solo potessi vedere la bellezza che può nascere dalle ceneri […] tu un vantaggio ce l’hai: più grande è la lotta e più glorioso è il risultato”.
Perfetto equilibrio tra messaggio morale intriso dei più candidi valori umani e la gestione del “se stesso” come punto di forza, il tutto incorniciato dalla delicatezza mai retorica del racconto, dai passaggi mai buonisti e stucchevoli da clichè, il film mette in scena la metamorfosi da bruco a farfalla che spicca il volo.
Will impara a vivere la sua condizione umana e a sfruttarla come risorsa fondamentale per sé e per gli altri come realmente fa Vujicic e come realmente dovrebbe fare ogni persona. In ogni condizione. E soprattutto come ognuno di noi, futuro professionista, dovrebbe aiutare a fare tenendo sempre ben presente ogni più piccolo appiglio di capacità personale che potrebbe portare il nostro utente a riscoprire il proprio “senso”.
Caglioti