Ognuno di noi ha familiarità con la variegata fauna tecnologica che costella la nostra quotidianità. Il nostro modo di agire e comunicare si articola, sempre di più, tramite la tecnologia e l’uso incessante che ne facciamo. Tecnologia che integra le potenzialità dell’individuo, la sua possibilità di interagire con lo spazio circostante; che racchiude, basti pensare ai social network, le biografie degli individui, i loro “diari”; che crea un nuovo paradigma di partecipazione sociale e politica, l’ascesa del movimento cinque stelle ne è esempio emblematico; che rovescia il modello del Panopticon dove è il potere ad essere osservato dalla moltitudine. Potenziamento dell’individuo tramite l’ampliamento delle sue capacità, estensione dell’Io attraverso l’accumulo e la condivisione di materiale identitario; costituzione di uno spazio pubblico e simmetrico; rovesciamento dei rapporti tra controllato e controllore. Tutti processi che senza dubbio favoriscono lo sviluppo sociale e politico delle persone, verrebbe da pensare. Forse. L’altra faccia che Giano mostra non ha nulla di confortante, l’arma è a doppio taglio. L’adesione ai social network e l’uso smodato della rete produce solitudine e alimenta il processo di atomizzazione sociale iniziato agli albori della modernità. Ben lungi dal generare nuove forme di aggregazione capaci di produrre calore umano, senso di appartenenza, identità e legami sociali-bisogni umani che spingono le persone ad aderire alle comunità virtuali- “la rete” configura un nuovo genere di relazioni superficiali, fluide, interinali. Relazioni tascabili non vincolanti: nessun impegno a lungo termine, nessuna responsabilità verso l’Altro. Lasciando da parte le riflessioni da sociologo della domenica, non vi è mai capitato di sedere al tavolo con gli amici e metà di loro sta chattando su whatsapp? Oppure di parlare distrattamente al telefono facendo scorrere l’home di Facebook? Anche nelle sue manifestazioni quotidiane la socialità ne esce impoverita, meglio essere abbracciati che essere taggati. Passiamo alla dimensione del potere. Internet permette alle masse che ne fanno uso di far circolare informazioni dal basso e di tenere sotto osservazione gli uomini che esercitano il potere. Sotto la superficie colorata della rete si nasconde però un meccanismo di controllo sociale felpato e sottile. Se da un lato la visibilità di chi occupa posizioni di potere è alla portata di tutti, dall’altro tutti sono potenzialmente controllabili. La nuova forma di potere non punta solo e tanto sulle istituzioni disciplinari care a Michel Focault, piuttosto usa le armi di distrazione di massa per sedurre e mercificare ogni aspetto della vita sociale. Non il grande Fratello di Orwell ma il Mondo Nuovo di Huxley. Per chiudere sentiamo Fabio Chiusi e Zyigmunt Bauman in uno scambio di battute sul Foglio:
“Cambia, in altre parole, il bilanciamento tra hard e soft power, con il secondo (la seduzione) che prende il centro della scena, e il primo (la coercizione) relegato ai margini. Il potere ha compreso che deve nascondere il controllo nello svago, la casa d’ispezione nelle pagine web. Perché altrimenti la servitù viene percepita come imposta, e dunque genera resistenze… la sorveglianza è liquida appunto perché non centralizzata, ma indossata da ciascuno di noi a suo modo. Il che significa che la simmetria tra controllati e controllore, quel rapporto di costante minaccia esercitata dalla torre che tutto vede, ma non si sa quando, si è rotta. E non a favore dei primi.”
Davide Angrisani