“Il Ramarro verde” di Michele Riva

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“Il ramarro verde” è la splendida storia che Michele Riva ha “scritto”, grazie all’ausilio della tecnologia, con gli occhi. Un comunicatore che lui definisce “la mia finestra sul mondo”, dopo la tracheotomia che gli impedisce di parlare. Ebbene sì, si tratta di un libro scritto con gli occhi, gli occhi del signor Riva, affetto dal 2000 da una terribile malattia degenerativa, la SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica).
Classe ’59, operaio piemontese, sposato con Vanda e padre di Fabio, Michele Riva racconta se stesso paragonandosi metaforicamente ad un ramarro verde, animale che fu protagonista di una scena di vita della sua infanzia. Da piccolo, Michele mentre giocava sulla riva del fiume Sangone, stava per essere morso da una serpe ma, incredibilmente, un ramarro lo salvò, attaccandola. La serpe fuggì, ma il ramarro rimase paralizzato. Il comportamento provvidenziale dell’animale resta a lungo scolpito nella memoria di Michele, predisponendolo ad una vita condotta in difesa della natura e a sostegno del prossimo. Michele ha vissuto una vita serena ed appagante, ma all’età di quarant’anni gli viene diagnosticata la Sclerosi Laterale Amiotrofica. La prospettiva di doversi rassegnare ad una condizione di paralisi totale suscita in lui una reazione di rifiuto e di abbandono, da cui tornerà a salvarlo il ricordo di quell’atteggiamento tenace e ostinato con cui il ramarro verde lottava per sopravvivere.

Dall’immobilismo forzato della sua nuova condizione, Michele Riva racconta in prima persona come vive l’inattesa esperienza con la SLA, con una franchezza disarmante e a tratti persino insostenibile. “Il ramarro verde” non è una vicenda facile, né un libro rassicurante, ma è l’occhio che ci sta guardando. E’ un uomo che non riesce più a vivere, che non riesce a comprendere le ragioni del suo male. Il ramarro verde è la diversità, l’impossibilità di fruire liberamente del proprio corpo, la difficoltà di accettarsi; ma anche la possibilità di vedere la realtà sotto un’altra luce. All’autore non si può chiedere ciò che non può dare: soluzioni o rimedi consolatori. Ma dalla sua testimonianza si può attingere coscienza problematica e rinnovata predisposizione alla vita. Che è di per sé ragione di schietta gratitudine.
Durante la sua esistenza, l’autore, come il ramarro, si è sempre battuto per chi è in difficoltà.
“Vedo in me la tenacia di quell’essere, non solo in questa fase della malattia, in cui se non c’è caparbietà e tanta determinazione è facile lasciarsi andare giù”, dice Riva, determinato a “lottare anche per quei malati che, come è successo a me agli inizi, si sono arresi”. Il libro di Riva è infatti un libro corale, che ospita altre testimonianze di amici con la medesima malattia degenerativa.
Questo libro è un forte invito a non smettere di lottare, a non arrendersi dinanzi alle difficoltà, è un ausilio per chi è afflitto da questa malattia ma, ancor di più, leggerlo può essere d’aiuto a chi “sta bene”. E’ un invito a vivere ogni istante con intensità, è a trasformarci in uomini e donne migliori, disposti a sacrificarsi per chi è ammalato e non pensare sempre e solo a noi stessi. Questo libro è un invito a resistere, ad avere coraggio e diventare persone in grado di amare!
La testimonianza di Michele ma anche di Giuseppe, Susanna, Marco, Giampaolo, Stefano, Loredana, Leido e Luciano sono la prova che non siamo un corpo che al suo interno cela un’anima, ma il contrario. Le loro testimonianze ci insegnano che si può essere liberi anche in un corpo che è diventato una prigione e si può essere prigionieri in un corpo perfettamente efficiente.

Letizia Bonelli

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