Gran parte dei detenuti nelle carceri italiane è di nazionalità straniera. Tale percentuale raggiunge anche l’85% nelle carceri del nord Italia, mentre nel sud la percentuale degli italiani in carcere rappresenta ancora la quota maggiore. Le etnie più rappresentative del fenomeno sembrano essere quella rumena e le popolazioni del nord africa.
Il fenomeno assume una rilevanza problematica dal momento in cui si assiste ad un sovraffollamento nelle carceri, le cui condizioni ambientali ma anche emotive, data la spersonalizzazione a cui va incontro il detenuto, spogliato della sua identità (non solo negativa), sono state più volte oggetto di pesanti e motivate critiche.
Per quanto riguarda in particolare il detenuto straniero, la percentuale di coloro che scontano una condanna definitiva è molto bassa, circa il 34%, tutti gli altri sono in attesa del primo processo, dell’appello o della Cassazione. Un reato comune commesso dagli stranieri è la violazione della legge Bossi Fini sull’immigrazione: non lasciare il territorio a seguito di notifica di un provvedimento di espulsione è reato, punito con la reclusione da uno a quattro anni. Per tale reato ogni anno entrano in carcere circa 12mila persone con condanne inferiori a 12 mesi. Una volta usciti hanno buone probabilità di reiterare lo stesso crimine: permanere in Italia in stato di irregolarità.
Ma c’è di peggio: in carcere i detenuti, stranieri o italiani, non sono soggetti ad alcuna differenza, ed entrambi possono usufruire delle pene alternative alla detenzione (arresti domiciliari… ); solo con l’estinzione della pena si distinguono i due soggetti: perché gli stranieri, dopo aver pagato i conti con la giustizia, non hanno alcun diritto ad ottenere alcun permesso di soggiorno e si è condannati ad un’altra pena: l’irregolarità, anche se si è provvisti di un lavoro.
Non è difficile intuire la contraddizione: tanta fatica per costruire un progetto di reinserimento all’interno della società, che si vanifica adottando una soluzione unica che non prescinde dai singoli casi. Per questo motivo è facile che lo straniero non sia per nulla motivato ad evolvere nella sua posizione, comunque vadano le cose, nonostante l’impegno e gli sforzi compiuti, il suo destino è sempre e per forza l’illegalità.
Ultima novità è la dichiarazione del Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, allarmato per il numero di cittadini stranieri nelle carceri italiane, che ha recentemente dichiarato quanto costi alla nazione il mantenimento degli irregolari: “Un detenuto costa infatti in media oltre 250 euro al giorno allo Stato italiano”.
La soluzione sarebbe quella di ‘rispedire’ al mittente queste persone, scaricandole al paese d’origine, paese dove spesso i diritti sono qualcosa di aleatorio ed interpretabile, i processi puramente formali, le pene e le carceri disumane.
Questo non vuol dire sicuramente giustificare l’illegalità o determinati comportamenti ed azioni sicuramente inaccettabili; il vero problema è che a volte non si da la possibilità alle persone di sfuggire a questo triste destino: l’irregolarità.
E se è vero che le possibilità sono per loro natura limitate e carenti specie in questo periodo di grave crisi economica, è vero anche che ciò che ci distingue dagli animali è l’essere, oltre che soggetti pensanti, soggetti che si caratterizzano per l’umanità con cui dovrebbero trattare il prossimo, prossimo che spesso proviene da realtà le cui tragedie e sofferenze non possiamo nemmeno immaginare.
E in una realtà dove tra il diritto/dovere di asilo e le difficoltà oggettive di inserimento c’è un confine piuttosto labile, dovrebbe trovare spazio l’esercizio di quell’umanità che ci rende in primo luogo esseri umani.