La scrittrice ci propone quattro storie di vita in quattro vie molto conosciute di Milano; la loro fama non è quella delle vie della moda bensì quelle dell’emarginazione.
Quattro personaggi (uno in ogni capitolo) che, fra pregi e fragilità, si districano nella complessità delle loro vite: dalla madre single meticcia dalla doppia identità, all’artista milanese frequentatrice di centri sociali; dall’egiziano ex spacciatore padre di un figlio che non conosce, all’immigrato campano in cerca di una via alternativa alla violenta vita di strada.
L’imponente protagonista del romanzo è indubbiamente Milano, le sue strade, i suoi locali, i parchi, i centri sociali, gli istituti di carità, le scuole, i campi rom.
Quattro fotografie di Silvia Azzari aprono le quattro storie, quattro scatti in bianco e nero che definiscono lo spazio come un luogo di vissuto quotidiano.
Via Padova con Viale Monza, Sarpi e Corvetto luoghi in cui si svolgono le vicende dei protagonisti (Anita, Samir, Stefania, Tony) che si incontrano nelle varie zone della città.
Questi luoghi sono il risultato spesso di una politica dell’esclusione che se non crea ghetti è solo per la vitalità delle persone che abita questi luoghi reinterpretandoli con fantasia e anche per pura sopravvivenza.
La storia che mi ha appassionato maggiormente è quella di Anita, madre single, “né vecchia bianca né giovane nera”. “io, come molti, non faccio niente. (Il non fare nulla è la cosa più difficile del mondo), ha detto Oscar Wilde. Duro lavoro il mio, quindi. Come quello di molti.”
Girovagando senza meta, con Anita e il bimbo neonato, mi fanno scoprire che: “Via Padova è piena di ex industrie. Il centro commerciale è un ex industria, la chiesa evangelica è un ex industria, l’emporio di arredamento è un ex industria, la moschea è un ex industria”. Via Padova “per alcuni è il ghetto, la casbah, il Far West o la banlieue italiana più disastrata. Per altri, invece, rappresenta l’East End milanese: un modello di convivenza possibile. C’è chi non vorrebbe mai entrarci, c’è chi non vorrebbe mai uscirne”.
Anita ha appena perso i genitori in un incidente stradale; in questo caotico quartiere ritrova una sorta di equilibrio: “Via Padova mi accoglie, e io mi sento accolta”.
Non è forse l’accoglienza la migliore chiave di svolta per sciogliere contrasti fra esseri umani?
Io penso di si. Penso che accogliere e sentirsi accolti sono presupposti indispensabili per dare inizio a qualsiasi forma di interazione, fra singoli o gruppi; in un rapporto di conoscenza, d’amicizia ma soprattutto in un rapporto d’aiuto come quello che si instaura, per esempio con un’assistente sociale.
“Milano, fin qui tutto bene” è un libro davvero appassionante che, in poche pagine ci mostra istantanee di una Città come una enorme mescolata metropoli, dove è difficile parlare di integrazione. “Non ne posso più di questa storia dell’integrazione: ma secondo te gli italiani sono integrati in Italia? Io vivo qui da sette anni circa e ne ho incontrati un sacco di italiani che non sono integrati in Italia ma neanche in loro stessi”.
Vi auguro una buona lettura
Alice Pollastro