B. è un ragazzo di 48 anni con una disabilità intellettiva e relazionale. E’ affetto dalla nascita da un ritardo mentale piuttosto importante. Gode, grazie alla sua famiglia che si è sempre presa cura di lui, di una buona autonomia: fino a qualche anno fa ha lavorato come operaio in Whirpool e oggi ha una pensione di inabilità al lavoro. Vive in una Comunità Socio Sanitaria a carattere residenziale, gestita da Fondazione Piatti, un ente ONLUS che gestisce centri diurni e residenziali per disabili nella Provincia di Varese. Ama la musica italiana, l’Inter, le radio e gli orologi. Interessi normali, di una persona normale con le sue caratteristiche e le sue specificità. Trascorre con i suoi nipoti quasi tutti i weekend, anche solo per condividere con loro il pranzo e la cena, senza impegnarsi in attività particolari. Nel caso di B. la rete sociale è stata estremamente importante poiché ha consentito di costruire un progetto di vita che gli garantisse un’esistenza migliore e una buona autonomia.
E. è un signore di 79 anni, affetto da morbo di Alzheimer da circa 12 anni. Ha sempre lavorato come parrucchiere e aveva un suo negozio che gestiva insieme ad un altro socio. Era una persona sempre allegra e sorridente, attiva e amava fare il nonno. Ha iniziato ad avere piccoli problemi di memoria alla chiusura del negozio, quando ha deciso di godersi la pensione. Quei vuoti di memoria sono diventati sempre più seri ed importanti, confondeva ogni cosa, era confuso e non riusciva più a rendersi conto della situazione. Era diventato impaziente, aggressivo e un po’ rabbioso anche nei confronti degli adorati nipoti. Oggi è ricoverato in una casa di riposo per anziani ed è sulla sedia a rotelle a causa della malattia che degenera a poco a poco. Non riconosce più nessuno, intuisce vagamente le voci dei familiari che vanno a trovarlo, non parla più. Non comunica e non sa farsi capire. Ha perso anche coscienza di se stesso.
I due casi sopra descritti ritraggono due diverse forme di disabilità. La prima è una disabilità mentale causata da un deficit cognitivo da cui B. è affetto fin dalla nascita; la seconda è una forma di disabilità che deriva da una malattia degenerativa come il Morbo di Alzheimer, devastante per i familiari e per il soggetto stesso che piano piano perde tutte le sue capacità. Mi piacerebbe quindi parlare della disabilità nel senso più ampio del termine, ovvero della disabilità come forma di incapacitazione momentanea o permanente, dalla nascita o acquisita nel tempo che una persona e i suoi familiari si trovano ad affrontare. Nel primo caso, vorrei innanzitutto sottolineare l’inadeguatezza dei termini comunemente usati per definire queste persone; handicappati, portatori di handicap, diversamente abili, termini che sottolineano la differenza che categorizzano queste persone includendoli in una categoria a parte, lontana e diversa dal mondo “normale”. La società odierna è piena di barriere, di ostacoli e di pregiudizi nei confronti di queste persone che non hanno nessuna colpa, ma sono nate con una difficoltà mentale o fisica o sono affette da malattie degenerative che compromettono la loro salute psicofisica. Innumerevoli la barriere architettoniche e le occasioni di difficoltà che incontrano queste persone: prima fra tutte la difficoltà di godere di una propria autonomia, di dover sempre dipendere da qualcun altro. Oggi la società offre delle misure di tutela a favore di queste persone. Per loro si propongono soluzioni diverse anche in base alla rete sociale che hanno intorno, alla presenza di famigliari che si possono prendere cura di loro o alla solitudine in cui si trovano a vivere per la morte dei genitori e la mancanza di parenti a loro vicini. Molti bambini con disabilità sono accettati con difficoltà nelle scuole da insegnanti e compagni questo perché la disabilità spaventa, spaventa il dover affrontarla, spaventa l’aspetto che hanno queste persone che spesso sono additate come diverse o come inferiori. Il problema dell’accettazione della disabilità è difficile: anche un genitore può avere delle difficoltà nell’accettare, nell’affrontare e nel convivere con la problematica del figlio che non avrà le opportunità che può avere una persona normale. Da qui nasce anche il problema dell’integrazione sociale dei disabili. È difficile trovare oggi strutture pubbliche all’avanguardia che consentono ad una persona disabile in sedia a rotelle di potersi muovere liberamente, o che offrano la possibilità ad una persona con un ritardo mentale di poter godere delle stesse opportunità di cui gode una persona normale. Nel secondo caso la disabilità è derivata da una situazione di degenerazione cognitiva: il soggetto non si riconosce più, non è in grado di riconoscere i suoi familiari e perde qualsiasi capacità che aveva nella sua vita. Anche in questo caso le forme di cura e di tutela per queste persone e i loro familiari sono abbastanza presenti e si tiene conto della situazione in cui vivono e della rete sociale che hanno a disposizione. È difficile accettare in questo caso il cambiamento di status, di condizione di queste persone che arrivano ad un momento di annullamento di se stessi e della realtà che li circonda. Spesso queste persone non si rendono conto di nulla, non hanno più alcuna capacità né cognitiva né di discernimento. La sofferenza più grande è dei familiari, che si sentono estranei ed impotenti, non sanno come reagire, come comportarsi di fronte a questo cambiamento repentino che sconvolge la vita.
Gli esempi di cui ho parlato prima, appartengono alla mia vita: B. è mio zio, mentre E. è mio nonno, due persone straordinarie, che mi hanno insegnato a convivere con queste problematiche, grazie a cui ho sviluppato una maggiore sensibilità e un interesse nello svolgere una professione che potesse concretamente aiutarli. Ho sempre convissuto con queste problematiche e oggi, comprendo realmente la fortuna che ho nel condividere la vita con nonno E. e zio B., entrambi capaci con un gesto, con uno sguardo, un sorriso o una stretta di mano di cambiare la giornata e di mostrarmi il loro affetto. È questo uno dei motivi per cui ho scelto di fare l’Assistente Sociale: essere agente di cambiamento ed attuare degli interventi a favore di persone che si trovano in una situazione di grave difficoltà. Diventare sostegno per la persona stessa e per i suoi familiari, al fine di garantire anche a loro una vita più serena.
Liliana Torresin