IL VOLONTARIATO

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Recentemente ho letto un libro sul volontariato, scoprendo così un mondo molto più ampio di quello che io stessa conoscevo. Ci sono varie sfaccettature spesso non prese in considerazione.
Innanzitutto fare volontariato è un’esperienza allo stesso tempo facile e difficile. Facile perché l’accesso ad eventuali enti che lo organizzano è spesso semplice: si dichiarano disponibilità di tempo e competenze. Dopo di che l’inserimento in un’attività avviene in modo quasi immediato. Al volontario non vengono richieste particolari capacità: spesso basta l’impegno, la disponibilità e qualche conoscenza tecnica. Al tempo stesso può comportare alcune difficoltà. Richiede una decisione personale, la voglia di affrontare un’esperienza nuova; ciò implica un calcolo del tempo da mettere a disposizione e di energie che possono essere impegnate. Implica poi una realistica considerazione delle nostre capacità e predisposizioni. Ed infine si tratta di un confronto con l’altro, chiunque esso sia, con le relative diversità.
Ma come si decide di diventare volontari? La spinta di partenza nasce dentro le persone.
Il carattere principale è quello della gratuità: ovvero la prova che i volontari agiscono secondo intenzioni benevoli. Addirittura secondo il sociologo americano Amitai Etzioni, il fatto che una persona lavori senza corrispettivo economico accresce, al posto di diminuire, il livello del suo impegno e la sua disponibilità. Questo perché la soddisfazione del volontario dipende dal raggiungimento degli obiettivi prefissati. Se lo scopo non viene raggiunto il volontario perde la motivazione principale del suo impiego.
La gratuità quindi costituisce la base di partenza del volontariato, ma non il punto di arrivo e non è in grado di indicare quale altra motivazione sostituisca quella economica. Indica un’assenza: l’inesistenza di uno scopo di lucro. Si può quindi dire che costituisca una virtù negativa. Inoltre la gratuità non esclude la presenza di motivazioni “egoistiche”: ad esempio un interesse indirettamente professionale; oppure potrebbero essere connessi bisogni di carattere psicologico legati all’esigenza di prevalere sugli altri, di sentirsi utili e necessari. Quindi la gratuità costituisce un ingrediente necessario sì, ma non sufficiente a fare di una persona che investe del tempo in un’attività sociale, un volontario affidabile.
Elemento importante è quello dell’autorealizzazione personale di chi pratica questa attività. Autorealizzazione che si concretizza nell’assunzione di una responsabilità nei confronti dell’altro. In assenza di questa il volontariato diventa un’attività strumentale alla soddisfazione di chi lo pratica.
In linea generale emergono tre ragioni fondamentali per praticare del volontariato. La prima è quella di dare concretezza alle proprie credenze morali o religiose. La seconda ha a che vedere con l’interesse a sviluppare relazioni significative, fondate sull’aiuto e sulla condivisione delle esperienze. Infine la terza ragione riguarda la possibilità di mettere alla prova se stessi e le proprie capacità.
È importante anche tener conto che il volontario si confronta con l’altro: sottolineare eccessivamente il carattere della gratuità potrebbe portate al paternalismo, bloccando la relazioni su ruoli precostituiti che impediscono lo scambio e l’incontro di due alterità, in cui il volontariato è bloccato in una posizione onnipotente e il beneficiario è bloccato nella dipendenza sia materiale che psicologica.
Tuttavia questo è solo un pezzo del mondo del volontariato, molto ancora si potrebbe dire.
Ma soprattutto molto ancora si può fare.

Eleonora Rubino

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