Mi è sembrato interessante cercare di approfondire come davanti ai sempre maggiori tagli alle risorse economiche, il Piano di Zona possa continuare ad intervenire con nuove progettualità nel sociale. Per farlo ho intervistato un’Assistente Sociale coordinatrice di un PdZ.
Generalità e esperienza lavorativa:
Mi chiamo Stefania, lavoro da circa 26 anni sempre in comuni medio piccoli e già dalla prima annualità coordino Piano di Zona dell’ambito territoriale di Azzate, un comune in provincia di Varese, che comprende 13 comuni medio piccoli per un totale di circa 58 mila abitanti.
In cosa consiste il piano di Zona:
E’ un documento di programmazione degli interventi in campo sociale in un’ottica di coinvolgimento sia dei comuni che aderiscono al Piano di Zona sia di tutti gli attori presenti sul territorio: ASL, Azienda Ospedaliera, Imprese, Terzo settore, scuole, ecc… attraverso un lavoro di sviluppo di comunità nell’ottica di una sinergia comune.
In base ai finanziamenti del Fondo nazionale Politiche sociali, Fondo regionale e interventi diretti dei comuni, l’ufficio di piano promuove interventi che rispondano il più possibile ai bisogni emergenti.
Ha rilevato dei cambiamenti del welfare lombardo?
Si, il sistema di welfare attualmente è attraversato da cambiamenti che impongono un ripensamento dell’intervento pubblico e della funzione della programmazione locale arrivando ad assumere una funzione di “imprenditori” di rete. Questo è accentuato dal quadro delle risorse finanziarie sempre più frammentato evidenziando la necessità di azioni che siano in grado di mettere in rete tutte le risorse del territorio con la necessità sempre maggiore di unire queste risorse per poter aumentare la negoziazione e promuovere sinergie semplificando e uniformando l’informazione, le procedure e i criteri di accesso ai servizi.
L’evoluzione dei bisogni è stata dettata da alcune caratteristiche generali:
1. L’invecchiamento della popolazione con un incremento continuo dell’indice di vecchiaia ( il numero delle famiglie con almeno un anziano è superiore a quello delle famiglie con almeno un minore);
2. La presenza di caregiver informali retribuiti – badanti ( il numero stimato sul territorio regionale è di circa 1300 su 100 mila abitanti);
3. Impoverimento delle famiglie ( negli ultimi anni le famiglie lombarde sotto la soglia di povertà arrivano all’8,2%, aumentano gli sfratti per morosità);
4. Fenomeno dell’immigrazione ( La Lombardia è la regione italiano con più alto numero di immigrati dando un contributo sempre maggiore alla crescita della popolazione).
Quali strategie di intervento il piano di zona può mettere in atto?
Vista quanto sopra il nostro PdZ utilizza alcune strategie :
• Coinvolgimento di tutti gli attori presenti sul territorio;
• Avviare strategie di negoziazione utilizzando il maggior peso del Piano di Zona in quanto rappresentante dei 13 comuni per la ricerca di possibili finanziamenti esterni;
• Possibilità di rivedere l’attuazione dei servizi erogati dl PdZ, attraverso una compartecipazione alla spesa da parte degli utenti;
• Necessità di attuare la disciplina relativa allo svolgimento delle funzione associate all’interno dell’ambito territoriale.
Quali sono le principali difficoltà in questo momento?
Purtroppo la situazione attuale con sempre minori risorse economiche, crea prima di tutto l’impossibilità di poter effettuare una programmazione preventiva e di conseguenza di poter prevedere gli interventi da attuare. In questi ultimi anni siamo stati costretti a chiudere dei servizi e di dover attuare delle azioni derivate da finanziamenti regionali molto vincolati e non rispondenti al reale bisogno.
Un esempio reale di riduzione degli interventi?
Fra i numerosi interventi che abbiamo dovuto sospendere per mancanza di risorse ( erogazioni buoni sociali per i non autosufficienti, erogazione voucer per la prima alfabetizzazione dei minori stranieri, interventi educativi a domicilio attivati dalla tutela minori e dal servizio inserimenti lavorativi, finanziamento progetti legge 162/98, progetto PAIS per il mantenimento a domicilio delle persone non autosufficienti) quelli a maggior impatto sono stati gli sportelli psicologici a favore degli alunni frequentanti le scuole primarie e secondarie di primo grado e quelli rivolti ai ragazzi dai 14 ai 24 anni e ai loro genitori.
SPORTELLO STAR BENE A SCUOLA: era uno sportello di ascolto presso le scuole primarie e secondarie di primo grado tenuto da uno psicologo all’interno dei 4 istituti comprensivi dell’ambito territoriale. La psicologa era un punto di riferimento e di prevenzione non solo per gli alunni ma anche per i loro genitori e per i docenti in continua collaborazione con i servizi sociali comunali e i servizi delle unità operative.
SPORTELLO DELFINO ASCOLTA GIOVANI: erano 3 sportelli di counseling psicopedagogico rivolti ai ragazzi dai 14 ai 24 anni e ai loro genitori che si trovano ad affrontare i problemi degli adolescenti e dei giovani e dopo alcuni incontri venivano orientati verso i servizi specialistici.
Quali potrebbero essere per lei delle soluzioni?
Occorre secondo me un maggior scambio di informazioni e di presa d’atto da parte della Regione dei reali bisogni dei singoli ambiti territoriali per poter far fronte alle necessità emergenti nei territori e quindi ad una maggiore flessibilità nell’utilizzo dei fondi.
A seguito di quanto emerso dall’intervista mi sento di fare una considerazione rispetto alla possibilità dell’utilizzo reale delle poche risorse economiche presenti. Sicuramente sarebbe necessario una maggiore flessibilità da parte della regione rispetto ai vincoli dettati dai finanziamenti dai quali emerge una poca attenzione ai reali bisogni soprattutto in questo momento di grave crisi economica dove tante famiglie si trovano in difficoltà e avrebbero bisogno di un maggiore sostegno.
Diventa anche faticoso il lavoro dell’assistente sociale davanti alla difficoltà di non poter più programmare gli interventi ma ci si trova a fare fronte a continue emergenze.
Chiara Panin
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