Piera Aiello. Moglie di Nicola Atria, figlio di Don Vito Atria, boss di Cosa Nostra.
Ha gli occhi sorridenti e il sorriso stampato sulle labbra di una donna le cui scelte di coraggio ed il destino le hanno cambiato la vita per sempre, ma che allo stesso tempo ha imparato a conviverci continuando a lottare ogni giorno con grande dignità.
Ho incontrato “Piera Aiello”, un nome che le appartiene nel sangue che gli scorre nelle vene ma che per lo Stato non appartiene più a nessuno. Ormai da anni per ragioni di sicurezza gli è stata attribuita una nuova identità perché la mafia non dimentica. Vive e lavora lontano da quel paesino di Sicilia, vive in una citta protetta insieme alla sua famiglia e ai suoi angeli custodi, le guardie della protezione anti mafia. Ma c’è quell’accento siciliano che la frega e le ricorda ogni attimo da dove viene e qual è la sua storia.
Per molti oggi lei è solo la cognata di Rita Atria.
Dice che la sua vita è una vita semplice, una vita da donna ma che allo stesso tempo ha due vite. Una del presente e una del passato che non vuole dimenticare perché è importante ricordare le proprie origini e imparare dalle scelte fatte o subite.
Ha 45 anni, è nata a Partanna un paesino della Sicilia, da una famiglia di modeste possibilità economiche e con grandi valori di lealtà e giustizia.
Moglie di un boss. Diventa vedova, perché il marito rimane vittima della stessa mafia a cui apparteneva, costretta a vestirsi a lutto otto giorni dopo il suo matrimonio obbligato, con una bimba di tre anni, Vita Maria, e tanta rabbia e voglia di giustizia nel cuore.
È proprio allora che decide di lottare e di cambiare tutto.
Decide di denunciare i nomi degli uomini che hanno ucciso il marito sotto ai suoi occhi, ma soprattutto i fatti che ha minuziosamente raccolto per dieci anni in un diario: fatti, omicidi, persone, luoghi.
Grazie all’aiuto del maresciallo Francesco Custode, di servizio a Partanna, si dirigono a Terrasini perché se fossero rimasti nel paese la mafia li avrebbe scoperti e uccisi. Arrivano nella caserma dei Carabinieri a Terrasini e inizialmente Piera ha paura. Ha paura perché non si fida dell’istituzione e ha soprattutto paura che “le spie la vedano e la facciano fuori”. Dopo alcune parole di conforto da parte del maresciallo, Piera si tranquillizza. Entra in un ufficio ed incontra le figure che le faranno da guida per il resto dei suoi giorni come testimone di giustizia e non la faranno sentire sola quando si ritroverà a perdere tutto. Morena Plazzi, procuratore che conosce in obitorio al momento del riconoscimento della salma del marito; Alessandra Camassa procuratore di Marsala e “zio Paolo” (Paolo Borsellino) che con affetto quasi fraterno la incoraggia attraverso l’amore che prova per Vita Maria.
Le chiedono che rapporti aveva con Rita, sua cognata e lei risponde così “Quando ho conosciuto Rita avevo 14 anni e lei 6, siamo cresciuti insieme. La testimonianza di Rita è stata fondamentale, ha parlato degli intrecci tra mafia e politica a Partanna. Della sua scelta di testimoniare sono stata accusata da mia suocera, sostiene che sia stata io a convincerla a fare quella scelta, ma non è andata così. Dopo che io ho deciso di testimoniare ed sono stata trasferita a Roma per primi 40 giorni sono rimasta chiusa in un monolocale, da sola, privata della libertà. Per questo cercavo di dissuadere Rita, per evitare di fare quella vita, ma lei insisteva. Decide di testimoniare una notte, quando subisce un attentato, alcuni uomini bussano alla porta della casa dove vive con la madre e lei capisce che quelle persone erano lì per ucciderla. L’indomani mattina va da mio padre, che con una fiat 126 la accompagna in procura a Sciacca. Rita era una ragazza cresciuta in una famiglia mafiosa, aveva 17 anni quando si è uccisa. La sue era solo un’età anagrafica, ragionava e pensava da donna ultraquarantenne, più di quanto lo fossi io che avevo sette anni più di lei. Decide di uccidersi dopo la morte di Borsellino perché perde il terzo punto di riferimento nella sua vita: il padre, il fratello e poi infine “zio Paolo”.
Infine le chiedono come poter combattere la mafia nella vita di ogni giorno e nelle scelte della vita.
Alla domanda risponde: “ Ho deciso di portare in giro per le scuole la mia vita e la mia esperienza per portare avanti la lotta e la voglia di giustizia che mi ha trasmesso Rita. Amo dialogare con i ragazzi e molti dicono che i giovani sono il futuro: beh io credo siano il presente e poi il futuro e con loro decido di combattere la mafia. Mi chiedete come si fa a combatterla senza fare scelte drastiche come ho fatto io? Allora vi dico che l’unico modo è quello di PENSARE CON LA VOSTRA TESTA, NON SMETTERE MAI DI SPERARE MA SOPRATTUTTO DI PRENDERVI CURA DEGLI ALTRI SENZA VOLTARE MAI LE SPALLE PERCHE’ NELLA SOLITUDINE LE PERSONE SCELGONO LA VIA PIU’ FACILE: LA MAFIA. Combattete l’ignoranza perché la mafia si nutre e vive su essa. Solo agendo in questo modo la mafia, in ogni parte del mondo, non potrà annidarsi nel quotidiano.”
Greta Vitale